Presentati gli esiti dei nuovi scavi eseguiti nel sito archeologico delle “Antiche Mura”. Gli archeologi dell’ateneo, coordinati dal professor Sauro Gelichi, hanno portato alla luce i reperti che ora racconteranno gli stili di vita dei primi jesolani
VENEZIA – Cosa mangiavano i primi jesolani? Come si muovevano? Che malattie li affliggevano? Sono queste le domande a cui gli archeologi del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari Venezia stanno cercando di dare risposta dopo aver riportato alla luce i resti dei primi abitanti della città. Gli studiosi dell’ateneo veneziano, coordinati dal professor Sauro Gelichi, quest’anno hanno concentrato la loro attività di ricerca e indagine sull’area del cosiddetto monastero di San Mauro, in prossimità del complesso monumentale delle “Antiche Mura”. I lavori sull’area, iniziati nel 2017, quest’anno sono durati due mesi e hanno cercato di affrontare alcuni quesiti sorti in seguito ai ritrovamenti del recente passato. Se gli archeologi erano stati in grado di individuare strutture (chiese, abitazioni, banchine) e ricostruire, a grandi linee, la traiettoria storica di questo centro durante l’Alto Medioevo, era possibile – e come – accedere direttamente alla storia degli abitanti? Come intercettare le singole biografie di una comunità?
L’opportunità è arrivata proprio quest’anno con lo scavo del cimitero che si trovava all’interno e nei pressi della chiesa di San Mauro. Le precedenti indagini (2018-2020) avevano mostrato la ricchezza del patrimonio biologico e che, a ragione, si poteva considerare un promettente campione, sul piano qualitativo e quantitativo, in grado di accedere direttamente alla storia degli uomini e delle donne dell’Alto Medioevo di questo territorio.
Attivata una collaborazione con il Laboratorio di Antropologia Fisica dell’Università del Salento (Professor Pierfrancesco Fabbri) per lo scavo e lo studio dei reperti osteologici e con l’Università di Harvard (professor David Reich) per l’analisi del DNA, l’équipe ha completato lo scavo (e lo studio preliminare) di circa 140 individui, databili tra VIII e XII secolo. Un campione già al momento consistente, che si spera di poter raddoppiare se non triplicare con la campagna del prossimo anno. Si verrebbe così ad avere il campione di popolazione più numeroso scavato (e studiato) della laguna veneziana, relativo all’Alto Medioevo, e uno dei più cospicui noti al momento in Italia.
Gli archeologi si attendono molto dalle ricerche in corso (a cui collaborano anche il professor Carlo Barbante, il professor Dario Battistel e la professoressa Clara Turetta del Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica): oltre a saperne di più sulla dieta alimentare, si investigheranno aspetti legati alla mobilità, alle malattie (come la talassemia) e al grado di conflittualità sociale. Inoltre lo studio tafonomico, unito a quello antropologico e archeologico, consentiranno di comprendere più nel dettaglio i comportamenti dei gruppi familiari in uno spazio di uso collettivo (come il cimitero), riflesso attraverso le pratiche funerarie e la gestione della memoria.
La ricerca, in concessione ministeriale, è diretta dal professor Sauro Gelichi, del Dipartimento di Studi Umanistici, con la collaborazione sul campo della dottoressa Silvia Cadamuro, della dottoressa
Anita Granzo e, per la parte di studio antropologico, dalla dottoressa Serena Viva. Lo scavo è finanziato dal Comune di Jesolo e dal Fondo Scavi di Ateneo.
La ricerca ha potuto contare sulla collaborazione di Poli-Medica S.r.l. per l’analisi delle lesioni traumatiche rinvenute sui resti scheletrici.
Il progetto di scavo, iniziato nel 2011 in prossimità dei resti dell’antica cattedrale – e che ha portato alla scoperta di ciò che rimaneva di una mansio di epoca tardo-antica -, si è spostato più a nord, nella zona dove, nel 1954, erano stati messi in luce – ma anche poi ri-sepolti – i ruderi di un complesso ecclesiastico. Il recupero dell’edificio – con il rinvenimento anche delle strutture di una chiesa precedente: VIII-IX secolo d. C. -, la scoperta delle fondazioni di un campanile, il ritrovamento di un molo con resti di imbarcazioni (monossili) di XI-XII secolo, erano stati in grado di rappresentare l’importanza del luogo e di descriverci con ricchezza di particolari, uno degli spazi insediati che avevano qualificato l’abitato dell’antica Equilo.
Sede episcopale nell’alto medioevo, snodo commerciale e porto alle foci della Piave Vecchia, Equilo era stato uno di quegli insediamenti ‘nuovi’, sorti nell’area della laguna di Venezia (o suoi bordi), che fiorirono durante l’Alto Medioevo, per finire poi abbandonati per motivi politici (il predominio sempre più forte della Serenissima), ma anche paleoambientali (l’impaludamento dell’area a seguito delle deiezioni del fiume Piave). Di questa antica città, abbandonata verso il XIII secolo, solo l’archeologia è in grado di recuperare le tracce materiali, attraverso le quali farla rivivere.
“Le indagini che gli archeologi dell’Università di Venezia stanno conducendo nel sito archeologico di Jesolo portano alla luce ogni anno incredibili novità che raccontano un pezzo dell’antica storia della nostra città – dichiarano il sindaco della Città di Jesolo, Valerio Zoggia, e l’assessore alla Cultura, Giovanni Battista Scaroni -. Il lavoro svolto nel 2021 è stato, una volta ancora, eccezionale, e ci consentirà di scoprire le storie dei nostri antenati, di chi viveva su questo territorio ai suoi albori e del modo in cui si relazionavano tra loro le persone. Attendiamo con grande curiosità gli esiti degli approfondimenti, per non parlare di ciò che gli scavi ci regaleranno nel prossimo futuro”.
“Con lo scavo che abbiamo intrapreso quest’anno – sottolinea il prof. Sauro Gelichi, direttore dello scavo – il progetto archeologico sull’antica Equilo ha indiscutibilmente segnato un ulteriore salto di qualità, non solo per l’autorevolezza e l’internazionalità delle collaborazioni avviate, ma anche per le tematiche affrontate. Lo scavo di Jesolo si sta proponendo come il progetto archeologico più innovativo e promettente per quanto riguarda la storia della laguna nella post-antichità e, in relazione all’aspetto archeo-biologico, tra i principali in Italia”.