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Fidelio di Ludwig van Beethoven inaugura la Stagione 2021-2022 del Teatro La Fenice

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VENEZIA – Fidelio di Ludwig van Beethoven inaugurerà sabato 20 novembre 2021 la Stagione Lirica e Balletto 2021-2022 della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia. Beethoven dunque, il compositore forse più ‘cancellato’ dai cartelloni teatrali del 2020, considerato l’importante anniversario della morte, il duecentocinquantesimo, caduto in piena emergenza sanitaria; e Fidelio, l’opera che più di ogni altra rappresenta la libertà e la liberazione. Fidelio verrà presentato in un nuovo allestimento del Teatro veneziano con la regia di Joan Anton Rechi, le scene di Gabriel Insignares, i costumi di Sebastian Ellrich e il light design di Fabio Barettin. La direzione musicale dello spettacolo sarà affidata al maestro coreano Myung-Whun Chung, che dirigerà Orchestra e Coro del Teatro La Fenice e un cast prestigioso composto per i ruoli principali da Ian Koziara (Florestan), Tilmann Rönnebeck (Rocco) e Tamara Wilson (Leonore).

Chung sarà impegnato anche nell’inaugurazione della Stagione Sinfonica che, pochi giorni dopo Fidelio, offrirà l’esecuzione della Nona Sinfonia del maestro di Bonn.
Unica opera lirica composta da Beethoven, Fidelio si basa su un libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke tratto dalla Léonore di Jean-Nicolas Bouilly. Se ne conoscono tre versioni: la prima fu composta nel 1804-5 in tre atti e andò in scena nel 1805 nella Vienna occupata dalle truppe francesi. La terza e definitiva versione, in due atti, risale invece al 1814, e debuttò al Kärntnertortheater: sarà questa l’edizione effettivamente eseguita, in abbinamento con l’ouverture Leonore n. 3 in do maggiore op. 72b, creata per la seconda versione della partitura. Fidelio sarà in scena al Teatro La Fenice il 20, 23, 25, 27, 30 novembre 2021: la prima di sabato 20 novembre 2021 alle ore 19.00 sarà trasmessa in diretta radiofonica su Rai Radio3 e in diretta streaming sul sito del Teatro La Fenice e su repubblica.it, lastampa.it e huffingtonpost.it. e testate gruppo Gedi.

Proposto a Beethoven da Joseph von Sonnleithner, neo-segretario del teatro di corte a Vienna e primo estensore del libretto, il testo fu steso sulla falsariga di un lavoro messo in musica da Pierre Gaveaux nel 1798: Léonore, ou L’amour coniugal, del drammaturgo francese Jean-Nicolas Bouilly, che nei Mémoires avrebbe in seguito asserito trattarsi di un episodio veramente accaduto, durante gli anni del Terrore. La piècedi Bouilly apparteneva a pieno titolo al genere francese postrivoluzionario dell’opéra à sauvetage, la cui trama-tipo prevedeva il salvataggio in extremis di una vittima innocente e virtuosa, predestinata a morte da un tiranno esecrabile e sadico. Per quel tempo una consimile tipologia era fortemente connotata di valenze politiche, quasi cronachistiche, di sicuro impatto sul pubblico: nella contrapposizione (forse un po’ facile) di umili semplici e virtuosi a potenti reprobi e iniqui, si riconosceva, inequivocabile, un segno dei tempi. 

Al suo Fidelio, Beethoven – che preferiva il femminile Leonore ma accettò il titolo maschile per evitare omonimie – lavorò fra non pochi grattacapi dal 1803 al 1805. Risultato di modifiche e tagli apportati anche dietro suggerimento degli amici, l’opera esordì il 20 novembre presso il Theater an der Wien, davanti a un pubblico di ufficiali napoleonici, che la fischiarono; con nuove modifiche, essa fu riproposta sullo stesso palcoscenico nel marzo 1806 col titolo Leonore, riscuotendo un timido consenso. La partitura rimase nel cassetto fino alla primavera del ’14, quando fu sottoposta all’ultima revisione, operata assieme al poeta Georg Friedrich Treitschke.

Nella versione del 1814 il compositore potenziò la componente ‘alta’ della trama, giovandosi ampiamente della propria inclinazione al grandioso e attingendo i mezzi opportuni dal bagaglio dell’esperienza creativa sinfonica: esso contribuì in modo determinante al linguaggio sonoro dei finali d’atto, alla potenza evocativa di episodi come il recitativo che introduce l’aria di Leonore e come il delirio estatico della cabaletta che conclude l’aria di Florestan con la visione dell’amata. Il potenziamento sonoro fu insieme la concausa e l’effetto della metamorfosi di Fidelio dall’originaria trama quotidiano/cronachistica verso una dimensione di respiro simbolico e tragico. 
«Sono tre i punti cardinali di Fidelio – ha dichiarato il direttore Myung-Whun Chung –. L’amore, prima di tutto: per Beethoven l’uomo più felice è l’uomo che vice e condivide un amore. In secondo luogo, la battaglia per la libertà, un altro dei caposaldi dell’opera. E poi il senso di fraternità. Questi tre elementi si trovano concentrati e uniti in Fidelio. La composizione di Fidelio ha occupato Beethoven per moltissimo tempo; un lavoro profondo e duro, che ha visto varie versioni e rimaneggiamenti. Il processo creativo è durato ben nove anni, e il risultato è quello di un genio. La conclusione è qualcosa di miracoloso, che davvero ci infonde speranza».

Joan Anton Rechi, a proposito della sua regia, ha dichiarato: «Sono partito dall’idea di realizzare una messinscena che avesse la sua ovvia e necessaria concretezza, ma lasciasse la porta aperta anche ad altre interpretazioni. Dato che l’opera si svolge a Siviglia, ci tenevo che avesse una caratterizzazione ‘spagnola’. C’è un fatto storico che tutti noi spagnoli abbiamo in mente e che fa parte della nostra cultura, la Valle dei Caduti (Valle de los Caídos), un monastero che si trova vicino all’Escorial, e venne costruito subito dopo la fine della Guerra civile, negli anni Quaranta. Coloro che avevano perso la guerra, cioè i repubblicani, erano prigionieri politici e lavoravano alla costruzione di questo monastero, riducendo con questo lavoro la pena da scontare. Non erano criminali, semplicemente avevano lottato dalla parte degli sconfitti. Si trattava di una vera e propria prigione di stato all’aria aperta, situata in un luogo molto inospitale, e questo elemento mi è venuto in mente perché mi sembrava che l’idea di un carcere all’aria aperta funzionasse bene, soprattutto nel primo atto e in contrapposizione al secondo, che invece è oscuro ed è ambientato sottoterra. 
«Però vorrei chiarire che non è una riflessione storica su quegli anni – prosegue Rechi – ma è semplicemente stata una suggestione, un punto di partenza che mi ha permesso di immaginare lo spettacolo. In quel luogo viene costruita una statua gigante, che rappresenta un leader (potrebbe per esempio essere il re di cui si parla nell’opera). Questa statua, che non arriva mai alla realizzazione finale, viene appunto costruita dai prigionieri. Questo elemento permette di dare una caratterizzazione un po’ mitologica di Fidelio¸ penso alla grande scultura di un tempio romano. Del resto l’opera di Beethoven ha un impianto mitologico in sé, perché richiama da vicino il mito di Orfeo che finisce agli inferi per riscattare Euridice. Leonora ricorda da vicino il mitico cantore, perché anche lei in un certo senso scende all’inferno per portare in salvo il proprio amato».
Fidelio andrà in scena con un cast d’eccezione composto per i ruoli principali dal tenore Ian Koziara (Florestan), dal basso Tilmann Rönnebeck (Rocco) e dal soprano Tamara Wilson (Leonore). Il ministro don Fernando sarà interpretato da Bongani Justice Kubheka, il governatore don Pizarro da Oliver Zwarg, Merzelline da Ekaterina Bakanova, Jaquino da Leonardo Cortellazzi.

Ecco il dettaglio delle recite: sabato 20 novembre 2021 ore 19.00 (turno A), martedì 23 novembre ore 19.00 (turno D), giovedì 25 novembre ore 19.00 (turno E), sabato 27 novembre ore 15.30 (turno C), martedì 30 novembre ore 19.00 (turno B). Per informazioni www.teatrolafenice.it.

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